A Roma le statue "parlano"

Ecco un altro progetto che avevo in mente di fare
Si tratta delle “sei statue parlanti” di Roma
P.S. purtroppo con due non sono stato molto fortunato…la statua di Marforio si trova nei Musei Capitolini e quando sono arrivato ancora non erano aperti al pubblico…chieste informazioni, una custode mi ha detto che mancava ancora un’ora e mezza…gli ho detto che dovevo scattare un paio di foto, e lei, gentilmente ha acconsentito…a patto che dovevo essere velocissimo
L’altra riguarda quella dell’ Abate Luigi è circondata da recinsione e tubi innocenti…e anche in questo caso, un paio di scatti e via
buona visione
Le sei statue parlanti di Roma
„Le Statue Parlanti sono probabilmente la migliore espressione della romanità antica: verace, satirica, sfacciata e irriverente, soprattutto nei confronti del potere e delle sue ostentazioni „
Posizionate in vari luoghi del centro della Capitale, le Statue Parlanti nacquero in epoca pontificia quando il popolo cominciò ad appendere al collo di queste sculture cartelli con scritte satiriche, invettive e dialoghi umoristici mirati a deridere vari personaggi pubblici, tra i quali spesso anche il Papa, ovviamente rigorosamente di autori anonimi.
Presto i romani cominciarono a dare dei nomi a queste statue come Madama Lucrezia, il Facchino, l’Abate Luigi, il Babuino, il Marforio e il più famoso, il Pasquino.
Originariamente dovevano essere molte di più, ma solo sei sono giunte a noi, meglio conosciute all’epoca come il Congresso degli Arguti. Non solo statue, ma “eroi” dalla lingua lunga con i quali Roma si è opposta all’arroganza e alla corruzione dei nobili e del clero attraverso l’arma dell’umorismo.
PASQUINO
Piazza di Pasquino prende il nome dalla più famosa statua “parlante” di Roma, Pasquino addossata all’angolo di palazzo Braschi. In passato questa piazza era chiamata “piazza di Parione” ed era frequentata da librai, scrittori ed artisti tanto che ebbe pure il nome di “piazza dei Librai”. Pasquino è un frammento di un antico gruppo statuario ellenistico, probabilmente raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, colpito da Ettore nella guerra di *****. Il cardinale Oliviero Carafa aveva comprato dagli Orsini l’edificio che sorgeva dove oggi è palazzo Braschi e si era adoperato a sistemare la piazzetta, lastricandone il fondo. Così, nel bel mezzo dei lavori, nel 1501 venne tirato fuori dal fango questo antico gruppo marmoreo che il cardinale fece sistemare all’angolo del suo palazzo, collocato su un piedistallo. Sull’origine del nome Pasquino vi sono diverse interpretazioni: chi lo vuole riferito ad un oste, chi ad un barbiere, chi ad un maestro di scuola e chi ancora ad un ciabattino, tutti, logicamente, di nome Pasquino. Probabilmente iniziò per caso ad essere utilizzato per esporre pungenti satire anonime verso chicchessia, ma con il tempo si “specializzò” in feroci satire politiche, perlopiù indirizzate verso il pontefice o, comunque, verso i personaggi in vista dell’epoca, tanto che questo genere di “messaggistica” fu detta “pasquinata”. Per tale motivo la statua corse più volte il rischio di essere distrutta, specialmente sotto i pontificati di Adriano VI, di Sisto V e di Clemente VIII. Pasquino faceva parte della “congrega degli arguti”, com’era chiamata l’associazione fra Pasquino e le altre “statue parlanti” di Roma: Marforio, Madama Lucrezia, l’Abate Luigi, il Facchino ed il Babuino. Le pene per i colpevoli di “pasquinate” erano severissime e giungevano fino alla massima pena, quella capitale. Molte sono le “pasquinate” pervenute fino a noi e qui vogliamo ricordarne alcune, le più mordaci, anche se spesso è utile una postilla per spiegarne il significato. Durante la proclamazione del dogma dell’infallibilità papale, avvenuta durante il Concilio Vaticano I e sotto il pontificato di Pio IX, Pasquino esclamò: “Il Concilio è convocato / I Vescovi han decretato / che infallibili due sono: / Moscatelli e Pio Nono“, dove Moscatelli era il nome dei fiammiferi, sulla cui scatola era stampato: “Moscatelli – Infallibili”. Poco tempo dopo continuò: “I.N.R.I. Io Non Riconosco Infallibilità“. Come abbiamo già detto, indirizzò le sue satire anche verso i personaggi noti, i “V.I.P.” dell’epoca: non poteva certamente mancare la famosa Donna Olimpia, la “Pimpaccia di piazza Navona“. Olimpia aveva un maestro di camera di nome Fiume; inoltre, occorre rammentare l’usanza, a quei tempi, di indicare le piene del Tevere con una lapide e l’indice della mano puntato all’altezza del livello raggiunto dalle acque. Un giorno fu trovato sul busto di Pasquino un disegno raffigurante una donna nuda, senza nessun dubbio somigliante ad Olimpia Maidalchini, ed una mano con l’indice puntato all’altezza del sesso e la scritta: “Fin qui arrivò Fiume“. Anche ai giorni nostri non sono mancate le “pasquinate”: allorché Roma venne ricoperta di cartone e gesso per accogliere il potente capo della Germania nazista, Hitler, Pasquino sentenziò: “Povera Roma mia de travertino! / T’hanno vestita tutta de cartone / pè fatte rimirà da ‘n’imbianchino“. O come quella apparsa in occasione della prima visita a Roma del presidente Gorbaciov: “La perestrojka nun se magna / da du’ ggiorni ce manna a pedagna / sarebbe er caso de smammà / ce cominceno a girà“.
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LE PASQUINATE CONTINUANO ANCHE AI GIORNI NOSTRI
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MARFORIO
Compagno di chiacchiere del nostro famoso Pasquino è senz’altro Marforio.
Si tratta di una scultura marmorea del I sec a.C, oggi nel cortile del Palazzo Nuovo ai Musei Capitolini, raffigurante un possente uomo adagiato su un fianco, con barba, veste e una conchiglia in mano.
L’iconografia in questione permette di associarlo al dio Nettuno o ad una personificazione del Tevere.
La statua si trovava nel Foro di Augusto, proprio vicino all’Arco di Settimio Severo, e faceva parte di una grande vasca circolare caratterizzata dalla scritta“mare in foro”.
Proprio da questa iscrizione potrebbe derivare il nome Marforio, una possibile corruzione del termine latino “Martis Forum” (vista la sua vicinanza al Foro di Marte), o un riferimento alla famiglia Marfoli (per alcuni Marfuoli) che abitava nella zona del Carcere Mamertino.
Nel 1588 Papà Sisto V ordinò di spostare la statua e Giacomo della Porta decise di inserirla nel suo progetto per la costruzione di una fontana in piazza San Marco; in seguito, nel XVII secolo, la scultura divenne parte integrante del cortile ad esedra di Palazzo Nuovo in Campidoglio, sua attuale sede.
La vasca, invece, venne utilizzata come abbeveratoio per il bestiame sino al 1816, quando fu trasferita sotto le statue dei Dioscuri a palazzo del Quirinale.
Memorabile rimane lo scambio di battute tra Marforio e Pasquino su Napoleone, accusato di portare in Francia i tesori della cultura italiana. Per l’occasione intorno al collo di Marforio venne appeso questo cartello: “È vero che i francesi so’ tutti *****i?”, la statua di Pasquino rispose: ” Tutti no, ma Bona Parte!”.
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ABATE LUIGI
Nella piazza, sulla destra del palazzo, appoggiata alla fiancata laterale della chiesa di S.Andrea della Valle, è situata la “statua parlante” conosciuta come Abate Luigi , una statua antica di epoca tardo-romana, rappresentante forse un console, un magistrato o un oratore. Fu rinvenuta nelle fondamenta di palazzo Vidoni ma ornava l’Hecatostylum, ovvero il “portico delle Cento Colonne”. La statua è degna di nota perché fa parte del “Congresso degli Arguti”, cioè delle cosiddette “statue parlanti”: Pasquino, Marforio, Madama Lucrezia il Facchino ed il Babuino. La statua ebbe varie collocazioni: inizialmente collocata a lato di palazzo Vidoni, fu posta nel vestibolo del palazzo stesso per sottrarla alle sassate dei monelli. In questa occasione sul basamento della statua fu posta dal Tomassetti un simpatica epigrafe (come ancora oggi si può vedere): “FUI DELL’ANTICA ROMA UN CITTADINO ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA EBBI OFFESE DISGRAZIE E SEPOLTURA MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA”. Tolta dal vestibolo fu posta a lato della chiesa di S.Andrea della Valle, dove tuttora si trova, ma non si può dire che abbia avuto “vita tranquilla”, visto che ogni tanto qualcuno continuava a sottrargli la testa. Il toponimo sembra derivare dall’unione casuale di due parole, “Abate” per indicare qualcosa che “è e non è” definito (come l’abate “è e non è” prete) e “Luigi” soltanto perché era uno dei nome più popolari a Roma; un’altra interpretazione vuole che la statua abbia ricevuto tale nome a causa di un infelice deforme sagrestano della vicina chiesa del Ss.Sudario al quale l’Abate Luigi avrebbe rassomigliato. Abbiamo già detto che ogni tanto la statua “perdeva la testa”( come si può vedere,ha “riperso” la testa) ed infatti, nel 1966, rivolgendosi all’ignoto vandalo che, per l’ennesima volta, le aveva sottratto il capo, la statua così sentenziò: “O tu che m’arrubasti la capoccia vedi d’ariportalla immantinente sinnò, vôi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia”. La traduzione, se dovesse servire, è questa: “O tu che mi rubasti la testa, vedi di riportarla immediatamente, sennò, vuoi vedere? come se fosse niente, mi mandano al Governo. E ciò mi secca”.
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MADAMA LUCREZIA
In piazza San Marco, nell’angolo del Palazzetto Venezia, si trova la cosiddetta Madama Lucrezia, unica interlocutrice femminile tra le “statue parlanti”. Il blocco di marmo, proveniente dall’Iseo di Campo Marzio, era parte di una grande statua antica che, secondo Winckelmann, rappresenterebbe la divinità egizia Iside, per altri l’imperatrice Faustina moglie di Antonino.
Il nome è collegato all’identificazione con Lucrezia d’Alagno († 1478), figlia del castellano di Torre del Greco. Giunto in quella città Alfonso d’Aragona, re di Napoli, si innamorò di Lucrezia rendendola la sua favorita. Alla morte del re la nobildonna si trasferì a Roma dove, nella sua casa del rione Monti, spesso ospitava illustri amici quali Pietro Barbo (Paolo II). Il popolo romano avrebbe battezzato la statua col nome di Lucrezia, rinomata per la sua bellezza. Altra possibile identificazione è quella con una tale Lucrezia moglie di maestro Giacomo dei Piccini da Bologna che aveva proprietà in piazza S. Marco nel XVI secolo.
Sin dal ‘500 la Madama Lucrezia fa parte del cosiddetto “congresso degli arguti”, ed il primo maggio era il giorno in cui veniva festeggiata e addobbata con fiocchi ed un diadema di carote e cipolle. Durante la Repubblica del 1799 il popolo romano buttò giù il suo busto, che cadde a bocca sotto. Il giorno dopo, sulle sue spalle, comparve la scritta a grossi caratteri: “Non ne posso veder più“. E ancora, nel 1591, Gregorio XIV, sentendosi morire, si fece trasportare a palazzetto Venezia sperando di riprendersi, grazie anche ad un alto steccato attorno alla residenza che attutiva i rumori circostanti: e invece morì. Madama Lucrezia, freddamente, sentenziò: “La morte entrò attraverso i cancelli“.
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BABUINO
La statua del Babuino raffigura un satiro in forma grottesca che adorna la fontana a vasca situata appunto in via del Babuino, davanti alla Chiesa di S. Attanasio dei Greci. Una statua talmente brutta e deforme, da poter essere paragonata ad una scimmia, che influenzò fortemente la fantasia dei romani: il babbuino, appunto, divenuto così famoso da tra il popolo da determinare il cambiamento dello stesso toponimo della strada, che da via Paolina mutò appunto in via del Babuino.
Lungo via Paolina papa Pio V, nel 1571, concesse l’utilizzo di alcune once d’acqua del nuovo acquedotto Vergine al palazzo del nobile Alessandro Grandi, il quale fece realizzare, in onore del Pontefice, una fontana ad uso pubblico, addossata alla facciata del palazzo.
Nel 1877 l’intero complesso venne smembrato a causa dei lavori per la costruzione della rete fognaria. La vasca fu utilizzata per un’altra fontana in via Flaminia, mentre la statua venne riposta all’interno del palazzo ex Boncompagni. Dopo quasi un secolo, una campagna di recupero voluta da alcuni cittadini romani nel 1957 fece sì che il babbuino tornasse nella via che della statua aveva preso il nome, sempre come elemento decorativo dell’antica vasca, anch’essa recuperata, dove un tempo si abbeveravano i cavalli. Nel 2007 un’inferriata( che ora non c’è più) sorretta da due colonnine in pietra è stata posta intorno alla statua per difenderla da possibili atti vandalici.
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FACCHINO
La Fontana del Facchino, in Via Lata a Roma, è la più giovane delle statue parlanti*; rappresenta una figura maschile, con il viso quasi completamente rovinato mentre versa acqua da una botte.
La Fontana del facchino fu realizzata da Jacopo Del Conte, nel 1580, su incarico della Corporazione degli Acquaroli (ma il Vanvitelli, nel 1751, la attribuisce addirittura a Michelangelo). Rappresenta infatti un “acquarolo”, quella figura che, fino a quando, alla fine del ‘500, i pontefici ripristinarono gli acquedotti, prendeva l’acqua dalle fontane pubbliche e la rivendeva porta a porta.
La foggia dell’abito ed un’epigrafe scomparsa in occasione dell’ultimo trasferimento a via Lata, riconduce però alla corporazione dei facchini, da cui avrebbe quindi preso il nome. L’attribuzione non sembra però corretta, benché l’epigrafe dedicatoria, in latino, recitasse: ”Ad Abbondio Rizio, coronato [facchino] sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì.”
Come altre cinque* è stata la “voce” di diverse pasquinate, le violente e spesso irriverenti satire indirizzate a colpire anche pesantemente e sempre in modo anonimo i personaggi pubblici più in vista a Roma.
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